BREVE STORIA DELL'ANARCHIA



Testo curato da          Marco Segato <[email protected]>
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CAPITOLO 1 :

ANARCHIA, COS'È?

CAPITOLO 2 :

ANARCHISMO "FILOSOFICO"

2.1 Max Stirner

2.2 Pierre-Joseph Proudhon

CAPITOLO 3 :

L' ORGANIZZAZIONE POLITICA

3.1 Michail Bakunin

CAPITOLO 4 :

L' ITALIA ANARCHICA

4.1 Le prime rivolte

4.2 La stagione del terrorismo

4.3 Il declino

CAPITOLO 5 :

IL CASO SPAGNOLO

CAPITOLO 6 :

SACCO E VANZETTI

CAPITOLO 7 :

IL DOPOGUERRA

CAPITOLO 8 :

SIMBOLI DELL'ANARCHIA

CAPITOLO 9 :

ANARCHICI OGGI

9.1 Cyber-anarchia



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CAPITOLO 1: ANARCHIA, COS'È?


«Che cosa potrà fare uno schiavo
quando avrà infranto le sue catene?
Aspettate e lo saprete».

Con queste parole, nell'ottobre del 1844, il filosofo tedesco Max Stirner minacciò i regimi reazionari di tutta Europa, e pose le basi per un fertile sviluppo della dottrina anarchica.
Ma cosa si intende per anarchia? Sin dall'epoca classica (vedi Platone e Aristotele) e nel linguaggio comune, questo termine ha avuto un significato marcatamente negativo: "senza governo", "caos", "mancanza di regole" sono idee ancora oggi molto diffuse. Con la parola anarchismo, invece, si intende l'insieme di teorie politiche sviluppatesi nel XIX secolo principalmente in Europa miranti ad emancipare l'uomo da ogni autorità ed oppressione politica, economica, sociale e religiosa: partendo dal pensiero roussoniano e dalla sua esaltazione dell'uomo incorrotto e libero allo stato di natura, l'anarchismo arriva a sostenere l'estinzione dello stato, ponendo come fine una società basata sui principi dell'egualitarismo e dell'autogoverno.
Ma è (come sempre, nda) sul tema dell'economia che si produce la prima, significativa spaccatura all'interno del movimento anarchico: l'anarchismo individualista pretende che l'assenza di limiti venga estesa anche alla vita produttiva del singolo (quindi possiamo a tutti gli effetti considerarlo liberismo all'estremo), mentre quello di tipo collettivista (o socialista o comunista o comunitario) ritiene che la libertà del singolo debba essere adeguata alle esigenze economiche e sociali di tutti. Inoltre, mentre l'anarchismo individualista non parla nemmeno di un'organizzazione statale o sociale, dato che la vita si dovrebbe basare esclusivamente sull'equilibrio fra le pari libertà di ognuno, per quello collettivista l'organizzazione politica dovrebbe essere a base federalista, con un potere cioé che "arriva dal basso".
Come vedete, l'anarchismo deriva dal liberalismo, è ravvicinabile al socialismo, ha legami con l'utopismo, relazioni con l'irrazionalismo: per questo non sempre è stato concepito come vera e propria teoria politica, quanto piuttosto come corrente etica e aspirazione individuale. Lo si può riassumere in generale in «un'unica parola: libertà» (Fauré).





CAPITOLO 2: ANARCHISMO "FILOSOFICO".


2.1 Max Stirner (1806-1856)

Filosofo tedesco schierato con la Sinistra hegeliana, insegnante, giornalista e traduttore, per primo conferisce un carattere filosofico all'intero movimento anarchico. Ritiene che ogni persona, in quanto io, sia il centro di un universo che non ha nulla all'infuori di sé, e che quindi sia assurdo dover obbedire a qualsiasi legge superiore: «l'unica legge sarà il suo individuale arbitrio».
Profondamente deluso dall'umanità in quanto "popolo" e "collettività", punta tutto sul singolo, sull'egoista, sull'Unico, colui cioè che riesce a realizzare se stesso, i propri bisogni e desideri solamente entrando in conflitto con altri uomini.
Il messaggio di Stirner è rivoluzionario: ogni individuo, in ogni momento, non solo può, ma deve ristabilire la propria supremazia diretta nei confronti dell'autorità; quando, nell'ottobre del 1844, pubblica "L'Unico e la sua proprietà", il libro viene immediatamente sequestrato, ma ciò non è sufficiente ad impedirne una massiccia diffusione. Stirner combatte principalmente contro quattro fronti:
Esaltazione della violenza e della potenza individuale; rifiuto della democrazia e del comunismo: si comprende come Stirner poté essere apprezzato anche dalla destra italiana di Mussolini, che si adoperò in quel periodo per la ristampa di tutte le opere del filosofo tedesco.


2.2 Pierre-Joseph Proudhon (1809-1865)

Francese, teorizza l'anarchismo "positivo", fondato sulla giustizia, unico limite possibile alla libertà individuale. Scrive Proudhon: «la giustizia è la stella centrale che governa la società» e «come l'uomo cerca la giustizia nell'eguaglianza, così la società cerca l'ordine nell'anarchia». Naturalmente non può accettare lo stato di diritto in quanto tale, ma ritiene che i rapporti tra gli uomini si debbano basare su liberi contratti di associazione per meglio conseguire fini economici, politici, personali, ecc. Da qui il suo antiparlamentarismo e antiautoritarismo che gli fanno dire nelle "Confessioni": «Non più partiti, non più autorità, libertà assoluta dell'uomo e del cittadino! Con tre parole ho espresso la mia professione di fede politica e sociale».
Al contrario di Stirner, sostiene che eguaglianza e libertà possono essere realizzabili in un contesto di solidarietà sociale: il mutualismo (attuabile ad esempio tramite le organizzazioni sindacali) avrebbe permesso il superamento della questione sociale senza violenze e lotte di classe (riceverà per questo un'aspra critica da Marx, nda).
Condannato a tre anni di carcere per la sua opposizione a Napoleone nel 1849, si sottrasse ad una seconda condanna nel 1858 fuggendo a Bruxelles. La sua opera principale è "Che cos'è la proprietà?" (celebre la frase «la proprietà è un furto») del 1840.





CAPITOLO 3: L'ORGANIZZAZIONE POLITICA.


3.1 Michail Bakunin (1814-1876)


Figura molto ambigua della Russia zarista, è in Bakunin che vengono a riunirsi le tendenze nichiliste dell'anarchismo individualista (molto diffuse nel suo Paese) con le teorie proudhoniane e collettiviste: il risultato è l'esaltazione della violenza come lotta politica, fino ad arrivare alla teorizzazione di una società fondata su una federazione di libere associazioni. Bakunin ha di fronte due avversari ideali: Rovesciando l'analisi fatta dai socialisti, egli ritiene che lo stato sia la massima forma di oppressione dell'uomo: non importa che sia assoluto, borghese o democratico, è comunque una manifestazione dell'autorità che garantisce se stessa anche grazie alla proprietà; unica soluzione possibile, quindi, è la sua abolizione. Attenzione però: Bakunin ritiene anche che la scomparsa dell'organizzazione statale sia una necessità storica (che significa sarà così e non potrà essere altrimenti), da cui risulterà una società anarchica fondata sulla solidarietà umana. Ma tutto ciò come potrà accadere? Rivolgendosi al sottoproletariato, Bakunin promuove la formazione di società segrete (di cui farà parte per tutta la sua vita), esalta la componente irrazionale rivoluzionaria, predica l'astensione dalla politica, facendo della lotta anarchica una lotta internazionale.
È questa la vera forza del messaggio di Bakunin: riesce finalmente ad organizzare sul piano internazionale le forze più disparate dell'anarchismo europeo, arrivando addirittura a contendere la direzione del nascente movimento operaio ai socialisti di Marx durante la prima Internazionale (1864). Da leggere "Stato e anarchia" (1873).





CAPITOLO 4: L'ITALIA ANARCHICA.


Perché in Italia, molto più che negli altri Paesi europei, il movimento anarchico ebbe un ruolo di primissimo ordine (che naturalmente sembra "dimenticato" dai programmi delle nostre scuole... nda) nel ventennio tra il 1860 e il 1880? Innanzitutto perché i rivoluzionari post-risorgimentali (ex-garibaldini ed ex-mazziniani) non soddisfatti dell'Unità d'Italia ritrovarono nuovo entusiasmo nelle idee anarchiche, e poi perché soggiornò proprio in Italia, dopo essere evaso dalle carceri siberiane, Bakunin, sul quale pose le proprie fondamenta il movimento anarchico italiano. L' "Orso russo", così era chiamato, personaggio carismatico e forte promotore di società segrete (non dimentichiamo le società carbonare), fondò la Fratellanza Internazionale, con un Comitato centrale e molte sezioni regionali, da cui si formò la prima, vera, generazione di anarchici italiani: Errico Malatesta, Carlo Cafiero e Carmelo Palladino i più importanti.
Nel marzo del 1872, a Bologna, si tenne il primo Congresso anarchico; il secondo, svoltosi a Rimini un mese dopo, mise in evidenza il giovane Andrea Costa (sarà una delle figure centrali degli anni a venire) e ribadì la supremazia dell'anarchismo sul marxismo.


4.1 Le prime rivolte.

L'anarchismo si diffondeva a macchia d'olio, i circoli anarchici erano numerosissimi soprattutto in alcune zone della Romagna, della Toscana e nel Meridione, e il governo italiano cominciava a preoccuparsi: la lotta rivoluzionaria cominciò nei primi mesi del 1874.
Nell'estate dello stesso anno gli anarchici romagnoli organizzarono una rivolta per impadronirsi della città di Bologna, e poi occupare il resto del Paese; i carabinieri, grazie a degli informatori, vennero a conoscenza dei preparativi ed intervennero: Malatesta, leader dell'insurrezione, fu arrestato mentre tentava la fuga oltralpe, e il movimento subì un duro colpo.
A metà del 1876 tutta la dirigenza anarchica fu rimessa in libertà e, riguadagnato prestigio agli occhi dell'opinione pubblica, si ricominciò ad organizzare una nuova rivolta, questa volta con lo sguardo rivolto al Mezzogiorno. Secondo i piani, dal Matese, zona posta tra il Molise e la Campania, da sempre culla del brigantaggio, sarebbe dovuta scoppiare la scintilla che avrebbe dovuto sollevare la rivoluzione in tutta Italia; fu una disfatta: innanzitutto invece che cento si presentarono una trentina di uomini, tra cui però non c'erano neppure le guide che avrebbero dovuto condurli tra quelle zone impervie. Secondo la leggenda, allora, il gruppetto decise di intervenire con espropri presso la popolazione locale, ma quando, alla prima pecora sequestrata, il piccolo pastore iniziò a piangere, loro la restituirono. Seguirono tre giorni di marcia, finché non giunsero a Letino, dove occuparono il Municipio, proclamarono la decadenza della monarchia, diedero fuoco alla foto del re e a tutte le carte comunali: intervenne allora la polizia e, dopo una fuga di tre giorni, smarriti nella foresta, gli sprovveduti si arresero.


4.2 La stagione del terrorismo.

Sconfitti sul piano della "rivoluzione sociale", gli anarchici passarono agli atti terroristici:
17 novembre 1878 -�
Il cuoco Giovanni Passanante aggredisce a Napoli il re Umberto I: non riesce nel suo intento, ma l'opinione pubblica rimane molto scossa.
18 novembre 1878 -�
A Firenze, in occasione di un corteo monarchico, scoppia una bomba.
20 novembre 1878 -�
A Pisa, sempre durante una manifestazione monarchica, ne esplode un'altra.
24 giugno 1894 -�
L'anarchico italiano Caserio uccide il presidente francese Sadi Carnet. Grave crisi diplomatica tra Italia e Francia.
8 agosto 1897 -�
L'anarchico italiano Michele Angiolillo spara al primo ministro spagnolo Antonio Cànovas: interrogato, il pugliese non fa i nomi dei suoi complici, e dichiara di «non essere un assassino ma un giustiziere»; subisce la terribile tortura della garrota, una sorta di strangolamento graduale.
10 settembre 1898 -�
L'anarchico italiano Luigi Luccheni pugnala Elisabetta d'Austria, "Sissi", a Ginevra. Giudicato in Svizzera, non ottenendo la pena di morte si impicca nella sua cella.
29 luglio 1900 -�
Gaetano Bresci, di ritorno dagli Usa, uccide con tre colpi di pistola il re Umberto I a Monza. Muore l'anno seguente suicida (o molto più probabilmente assassinato) in carcere.
6 settembre 1901 -�
Attentato al Presidente degli Stati Uniti McKinley.


4.3 Il declino.

Gran parte degli anarchici si sentì tradita quando Andrea Costa, detto "el biundén", divenne parlamentare e giurò fedeltà al re; nel 1881 a Imola fondò insieme all'inseparabile compagna Anna Kuliscioff la rivista "Avanti!" e orientò il suo pensiero verso il socialismo riformistico. Tutto questo provocò una profonda spaccatura tra gli anarchici e i socialisti che si risolse con la fondazione del Partito Socialista Italiano a Genova nel 1892.
Dopo che la prima Guerra mondiale isolò gli anarchici di tutta Europa a causa della loro posizione non-interventista, sembrò che il movimento potesse risorgere come stava succedendo in Russia. Un'ondata di scioperi che travolse il Paese, e l'eccidio al teatro Diana di Milano il 23 marzo del 1921, furono il pretesto che permise ai fascisti di scatenarsi contro l'intera sinistra, anarchica e non.





CAPITOLO 5: IL CASO SPAGNOLO.


Anche se in Spagna gli ideali anarchici giunsero in ritardo rispetto agli altri Paesi europei, l'anarchismo vi trovò un terreno assai fertile, sebbene con caratteristiche peculiari e non rintracciabili in altri luoghi.
Innanzitutto fu un movimento popolarissimo tra le classi contadine e operaie, ed assunse un particolare significato utopico, forse anche per la forte tradizione religiosa di questo Stato: ogni volta che scoppiava un tumulto, i rivoltosi erano certi che fosse imminente l'avvento della società perfetta, dove sarebbe prevalsa la giustizia e la condivisione dei beni; infatti la Spagna fu l'unico Paese d'Europa in cui gli esperimenti di collettivismo e di federalismo anarchico ebbero un certo successo.
Durante il periodo della Repubblica, negli anni '30, ebbero un ruolo di primo ordine la "Federazione anarchica iberica" e la "Confederazione nazionale del lavoro" (CNT), che riuscirono a realizzare una riforma agraria in senso popolare e organizzarono la gestione delle fabbriche tramite i Consigli di fabbrica.
Definire brutale la lotta tra anarchici e comunisti in Spagna per il controllo della Repubblica è riduttivo: assassini e atti di guerriglia non cessarono neppure di fronte al nemico comune, il generale Franco, che, aiutato dal sodalizio italo-tedesco, li travolse entrambi.





CAPITOLO 6: SACCO E VANZETTI.


Negli Stati Uniti, come altrove, gli anarchici subirono le spietate ostilità da parte delle autorità di polizia; a nulla servì organizzarsi nell'unione sindacale "Industrial Workers of the World". L'episodio più clamoroso fu quello di due anarchici italiani, Nicola Sacco, ciabattino, e Bartolomeo Vanzetti, pescivendolo, che vivevano alla periferia di Boston. Incarcerati con l'accusa di omicidio per una rapina avvenuta nell'aprile del 1920, si proclamarono sempre innocenti; l'accusa fu durissima e nemmeno la confessione nel 1925 di un uomo già condannato servì a scagionarli. L'opinione pubblica di tutto il mondo si mobilitò in favore dei due anarchici, ma il 23 agosto 1927 furono giustiziati sulla sedia elettrica. Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti; riabilitati formalmente dal governatore del Massachusetts solo nel 1977.





CAPITOLO 7: IL DOPOGUERRA.


In Europa le principali federazioni anarchiche erano quella italiana (costituitasi con il congresso di Carrara nel 1945) e quella francese, cui bisogna aggiungere i molti militanti della Germania Federale non organizzati.
Si dovette però attendere fino al 1968 per rivederle come protagoniste del panorama politico internazionale: in quell'anno si tenne il primo Congresso Internazionale delle federazioni anarchiche, a Carrara, e il movimento anarchico fu uno dei "motori" che spinsero alla ribellione milioni di giovani in quegli anni. In Italia, il movimento diventò parte della sinistra rivoluzionaria, in aperta polemica sia con i nemici tradizionali, sia con la sinistra parlamentare che tentava un dialogo con la Democrazia Cristiana.
Grande risonanza ebbe l'attentato di Piazza Fontana del 12 dicembre 1969 in cui vennero coinvolti due anarchici, Pinelli e Valpreda. Il primo morì misteriosamente durante gli interrogatori, il secondo subì una condanna di tre anni e fu poi rilasciato. Successive indagini (ottava sentenza nel luglio del 2001 nda) porteranno alla condanna di alcuni membri dei servizi segreti legati a frange neofasciste.





CAPITOLO 8: SIMBOLI DELL'ANARCHIA.


Come è difficile definire una vera e propria "storia" del pensiero anarchico, allo stesso modo e per varie ragioni, sono altrettanto oscure le origini di alcuni dei simboli di questo movimento.





CAPITOLO 9: ANARCHICI OGGI.


Ha ancora un significato dichiararsi anarchici oggi? Difficile dare una risposta, ma cerchiamo di analizzare se, almeno a livello politico, alcune delle rivendicazioni storiche del movimento anarchico si siano poi realizzate.
Innanzitutto le ultime tendenze in ambito socio-politico, soprattutto in Europa, sono quelle di un abbandono graduale della vecchia sovranità nazionale per la costituzione di grandi stati federali, basati sul decentramento amministrativo e su mutui accordi di cooperazione: era questo un sogno degli anarchici collettivisti, anche se in maniera molto più marcata; sembra comunque reggere, per ora, la "necessità storica" dell'anarchia sostenuta da Bakunin, con il paradosso di una politica che si incammina verso l'anarchia. Inoltre, sempre più spesso, i rapporti tra uomini si basano su liberi contratti di associazione che permettono di meglio conseguire un determinato fine economico, politico o personale, tendendo ad allontanare quell'apparato statale ormai considerato solo più come garante del diritto ed escluso da molte forme di intervento diretto sulla vita del singolo.
Tutt'altro discorso è necessario fare per altri due obiettivi storici degli anarchici: libertà e uguaglianza; c'è il pericolo di scadere nel banale, ma è innegabile che nessuno di noi, nel XXI secolo, è libero, e nessuno di noi è uguale agli altri. Dovrei poter ANDARE ovunque io voglia, ma esistono le frontiere; dovrei poter DIRE quello che voglio, ma Echelon mi ascolta; dovrei avere diritto alla mia VITA, ma esiste la pena di morte; dovrei poter DECIDERE, ma lo fa già per me la WTO. Sono poi io uguale a chi muore ancora di malaria, a chi mangia a malapena un pasto al giorno, a chi deve iniziare a lavorare a 5 anni?
Sia l'anarchico individualista che quello collettivista, seppure - abbiamo visto - con motivazioni profondamente diverse tra loro, non possono che reagire in un'unica maniera: gli "ostacoli" alla realizzazione dell'ideale anarchico esistono ancora.


9.1 Cyber-anarchia.

Dove, se non nel World Wide Web, possiamo riconoscere il compimento degli ideali utopistici dell'anarchia? Internet permette a chiunque di crearsi una "realtà" che si sviluppa secondo le proprie leggi interne, esaltando ai massimi livelli il desiderio di indipendenza, di realizzazione personale e di libertà comunicativa: l'individuo è l'unico protagonista della propria esperienza informatica.
L'intero sistema, oltretutto, è altamente decentralizzato e personalizzabile, ognuno ha il potere di decidere personalmente che cosa vedere/leggere/ascoltare/scrivere, cosa che lo rende sicuramente imparagonabile ai comuni mezzi di comunicazione. Scrive Piergiorgio Pardo ("Le controculture giovanili", 1997): «..l'orizzontalità delle interconnessioni in rete è un particolare su cui coloro i quali fidano su Internet per una futura gestione democratica delle telecomunicazioni hanno molto insistito. [...] Tale modello di comunicazione può essere inteso in senso antagonista proprio in contrapposizione alla classica modalità di fruizione dei mezzi di comunicazione di massa, che vede la ricezione da parte del destinatario di un testo formulato una volta per tutte ed inviato dall'alto».
Altro aspetto che ricorda il sistema organizzativo tanto desiderato dagli anarchici, è quello della comparsa, soprattutto negli ambiti dell'underground, di numerose e fiorenti "comunità": uniti da interessi comuni, utenti di ogni parte del globo fanno continuamente nascere nuove crew, nuovi newsgroup, mailing list, ecc., che non fanno che avvalorare la tesi di una federazione anarchica costituita da moltissime libere associazioni che regolano i problemi della "convivenza" per mezzo di nuove forme di condivisione. È tutto virtuale, certo, ma da qualche parte bisogna pur incominciare! :-)